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Noi, Umani

Un viaggio nella storia di paleontologia e antropologia, un’indagine per capire che cosa ci rende umani, un reportage al confine tra letteratura di viaggio e gonzo journalism.

Nel 2003, sull’isola di Flores, fu portato alla luce lo scheletro di un ominide destinato a riaccendere il dibattito sulle origini e l’evoluzione della nostra specie: l’Homo floresiensis risultava infatti alto poco più di un metro e dotato di una massa cerebrale estremamente ridotta. Una nuova specie, oppure un passo indietro nell’evoluzione? O forse un caso di nanismo, in una particolarissima area geografica dove sono state rinvenute ossa di rettili e cicogne giganti e di elefanti nani? Stuzzicato nel suo formidabile fiuto per le grandi storie, Westerman si immerge in un’indagine che lo porta dalle sponde della Mosa alle isole dell’Indonesia, sulle tracce dei nostri antenati. Presto, però, la questione delle origini si rivela elusiva, troppo disputata tra grandi paleontologi e scuole di pensiero, con i dibattiti scientifici spesso viziati da rivalità personali, prestigio internazionale e rancori postcoloniali. E la domanda su chi fosse l’uomo di Flores lascia spazio a interrogativi più disturbanti e urgenti: cosa ci rende geneticamente umani? Come è cambiata nel tempo la risposta a questa domanda, dalla paleontologia degli esordi alle tecnologie di oggi? Quanto il pensiero scientifico, con le sue pretese di oggettività, è invece un’inconsapevole vittima della storia? Dopo anni di viaggi e ricerche, intervistando esperti, leggendo diari dimenticati e testi scientifici, fino a partecipare a scavi e farsi mappare il genoma, Frank Westerman racconta delle nostre origini e di chi le ha studiate, favole avventurose di pionieri, autodidatti, luminari di una scienza forse troppo umana, ma non per questo meno importante e grandiosa. 

Iperborea

Ingegnieri di Anime

È ancora possibile arginare la violenza tramite la parola, con le armi della trattativa, del ragionamento e della persuasione? "I soldati delle parole" è un libro importante per  comprendere il terrorismo attuale, un saggio narrativo sulla violenza politica e il potere delle parole. 

Il 26 ottobre 1932 Stalin si presenta a una riunione di scrittori a casa di Maksim Gor’kij. «I nostri carri armati non valgono niente», dice, «se le anime che devono guidarli sono di argilla.» Spetta agli scrittori, «ingegneri di anime», forgiare l’uomo nuovo sovietico. Nasce così l’estetica proletaria della costruzione e della produzione, utile per celebrare quelle colossali opere idraulico-ingegneristiche dei primi piani quinquennali che, grazie al lavoro forzato dei Gulag, stanno domando la «nemica» natura del territorio sovietico: deviazioni di alvei fluviali, migliaia di chilometri di canali, impianti di desalinizzazione dell’acqua di mare. Dalla lettura di un libro di Konstantin Paustovskij del 1932 sulla «eliminazione dei deserti» prende le mosse il viaggio narrato in Ingegneri di anime, che porta Frank Westerman, giornalista d’inchiesta con studi di ingegneria agraria alle spalle, dalle rovine industriali del golfo di Kara-Bogaz fino al canale Belomor, il progetto che il collettivo di scrittori guidato da Gor’kij fu chiamato a cantare come «storiografia istantanea del socialismo». Un viaggio concreto, quello di Westerman, che si intreccia con l’esplorazione della vita e delle opere di chi, tra dubbi, debolezze e scetticismo, dedicò penna e capacità espressive al rafforzamento dell’URSS postrivoluzionaria. Concentrandosi non sui grandi dissidenti ma sui «più o meno accomodanti», come lo stesso Paustovskij, o il tormentato Platonov, o il grande Pil’njak morto in un Gulag dopo alterne vicende, Westerman ricostruisce con accenti personali il rapporto tra potere e artisti, e il loro sofferto sforzo di trovare uno spazio possibile tra diktat e ispirazione.

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I soldati delle parole

È ancora possibile arginare la violenza tramite la parola, con le armi della trattativa, del ragionamento e della persuasione? "I soldati delle parole" è un libro importante per  comprendere il terrorismo attuale, un saggio narrativo sulla violenza politica e il potere delle parole. 

La penna sarà sempre più forte della spada? Spinto da urgenti domande, narratore lucido e inquieto di questo tempo di crisi, Frank Westerman si mette in viaggio per capire ciò che il linguaggio può ancora fare contro la violenza e per indagare i cambiamenti che, a partire dagli anni ’70, hanno interessato i vari fronti del terrorismo moderno, modificandone pratiche e principi e complicandone l’interazione con l’avversario più eccellente, lo Stato. Westerman incontra esperti di terrorismo a Parigi, beve tè alla menta con un poeta ex-dirottatore di treni, prende parte come ostaggio a un’esercitazione di sicurezza all’aeroporto di Schiphol e partecipa a un corso per negoziatori delle Forze Speciali della Polizia olandese. E mentre ricorda alcune tra le più intense esperienze della sua vita, come le azioni di un commando di terroristi moluccani a cui assistette da bambino e l’orrore degli attentati ceceni quando era corrispondente in Russia, riflette su temi cruciali del nostro presente, come la lotta al terrorismo, le possibili reazioni al terrore, il senso dell’empatia e della comprensione, l’opportunità di dialogare. "I soldati delle parole" è un saggio documentatissimo, appassionato e rigoroso nello stile inconfondibile di Frank Westerman che intreccia Storia, reportage, autobiografia e sapienza narrativa.

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L'enigma del lago rosso

La notte del 21 agosto 1986 tutta la vita della valle di Nyos, in Camerun, è spazzata via: polli, zebù e uccelli cadono a terra morti insieme a quasi duemila persone. Nessun danno materiale, capanne e palme sono intatte. Si parla di un’esplosione, di uno strano odore, di un lago vicino che si è tinto di rosso, la notizia fa subito il giro del mondo, ma cos’è successo in uno dei disastri naturali più clamorosi del XX secolo? Una filtrazione gassosa? Un’arma chimica o una bomba atomica testata da americani, israeliani o francesi? Un intrigo del presidente Biya per sterminare le etnie oppositrici? Un segno divino? A più di 25 anni dalla catastrofe, Westerman torna in Camerun per recuperare tutti i tasselli del puzzle che è cresciuto intorno al mistero: dalla contesa tra l’audace Tazieff, il prudente Sigurðsson e i maggiori geologi del pianeta per far «vincere» la propria tesi, agli interessi postcoloniali dietro la voce della scienza, dallo choc dei testimoni al «perché io?» che ha cambiato la vita ai sopravvissuti, dalla reazione dei missionari alle convinzioni delle tribù animiste, cristiane e islamiche. L’uomo ha bisogno di risposte, e dove non arrivano i fatti osano le «storie», quelle che in tutte le culture, ieri come oggi, si alzano sopra la confusione del mondo e con il tempo diventano miti. Scienza, religione, antropologia, complotto politico e un caleidoscopio di varia umanità si confrontano in un’indagine appassionata e rigorosa tra romanzo e reportage che dal Camerun si allarga a Europa e Stati Uniti, per trovare nell’Africa globalizzata di oggi risposte sorprendentemente vicine alle domande del nostro Occidente. 

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Ararat

A metà tra racconto e reportage, Ararat affronta in modo molto personale i grandi temi della religione, dei conflitti politici e del progresso scientifico. Westerman intraprende
un viaggio che lo porta da Emmen, il suo villaggio natale nel Nord dell’Olanda, al monte Ararat, tra Turchia e Armenia, stimolato dalle domande che ha posto ai suoi antichi maestri sulle Scritture, sulle verità della matematica, sulla possibilità della scienza di arrivare a cogliere i misteri della vita. La salita al monte Ararat, dove secondo la tradizione si è arenata l’Arca di Noè, è una sfida al tempo stesso fisica e spirituale, per arrivare a capire se si può vivere liberi dall’eredità religiosa. Numerosi sono gli incontri sul cammino, con i ricercatori dell’Arca perduta e delle tracce della storia biblica, come con una natura e un paesaggio radicati in secoli di storia di guerre e genocidi, in una regione al confine tra culture diverse. In Ararat si ritrova la capacità di Westerman di affrontare problemi e momenti cruciali del nostro presente mettendosi personalmente e fisicamente in gioco, senza mai perdere né l’impegno etico né il distacco ironico che dà il piacere della lettura. Giustamente le sue risposte rimangono
avvolte nelle nuvole come la cima della montagna: la fede, come ogni certezza, non è conquistabile, e resta solo la consapevolezza che ci sono più cose tra il cielo e la terra che in tutta la nostra filosofia.

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Pura Razza Bianca

“Quando tocchi un lipizzano, tocchi la storia”, ha detto un giorno il proprietario del maneggio che Frank Westerman frequentava da bambino. Il fascino della razza “perfetta”, simbolo della forza e della nobiltà di sangue, creata dall’uomo in quattro secoli di selezioni e incroci, spinge l’autore a ricostruirne la storia in un appassionante viaggio-inchiesta che diventa un inedito racconto dell’Europa e del XX secolo. Ammirati e contesi da tutti i potenti, da Hitler e Mussolini a Stalin, Tito e Ceauşescu, i “cavalli imperiali” nati alla corte asburgica incarnano quella ricerca della superiorità razziale che ha ispirato gli esperimenti nazisti sulla purezza ariana come quelli sovietici per temprare il proletariato e le “pulizie etniche” nella ex Jugoslavia. Liberati dalle truppe alleate americane in un’operazione segreta diventata un film di Walt Disney, salvati da un devoto stalliere serbo sotto i bombardamenti nei Balcani, tra fughe epiche e spericolate deportazioni, i lipizzani attraversano i conflitti bellici e ideologici del Novecento subendo l’eterno dibattito tra natura e cultura e le manipolazioni di scienziati, filosofi, fanatici e dittatori. La loro storia è quella del sogno umano di controllare la vita e delle grandi domande etiche che lo accompagnano, da Darwin e Mendel all’uso della genetica fino ai controversi laboratori di oggi. Coniugando storia e mito, scienza, viaggio e letteratura, Westerman mette a nudo l’Homo sapiens, che nella sua perenne corsa verso la conoscenza e nella sua sfida aperta con la natura “sa come nessun altro creare e distruggere”.

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El Negro e Io

Nel 1983, Frank Westerman, diciannovenne studente di agri-coltura tropicale, visitando un museo in un villaggio spagnolo scopre, inchiodato a un piedistallo in una bacheca divetro, un singolare pezzo d’esposizione: il corpo imbalsamatodi un africano senza nome. Chi era quest’uomo? E chi ha impagliato il suo corpo, e aquale scopo? Cercando le risposte a queste domande, l’autoretrascina il lettore in una ricerca che abbraccia più di un secoloe mezzo e che si addentra nell’epoca dei grandi dibattiti sull’evoluzione, nel mondo della taxidermia, nella storia dello schiavismo. Strada facendo, El Negro si rivela uno specchio del proprio tempo e le sue vicende illuminano impietosamente levicende dell’immaginaria superiorità dell’Europa sul resto delmondo. Ma è il quadro più ampio quello che affascina veramente Frank Westerman, che esamina la storia di colonialismo e razzismo anche alla luce delle proprie esperienze – e disillusioni –nel campo degli aiuti ai paesi in via di sviluppo. Insieme inchiesta giornalistica e storiografia, letteratura di viaggio e racconto autobiografico, questo libro invita a riflettere sul nostro modo di confrontarci con chi èdiverso da noi.

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